COME TUTTE LE JOLANDE

Jolanda di Ventimiglia – un monologo

«Che sia un giaguaro?» mormorò la fanciulla, gettandosi prontamente dietro una macchia di legno cannone.
E. Salgari, Jolanda. La figlia del corsaro nero

La narratrice inizia il monologo mentre sistema alcuni costumi di scena su un appendiabiti. Durante il monologo, la narratrice controllerà e sistemerà gli abiti, per indossarli poi ad uno ad uno scrupolosamente. In scena c’è uno specchio, che utilizzerà di tanto in tanto per vedere se la sua trasformazione in Jolanda sta avvenendo per il meglio.

Chi è Jolanda di Ventimiglia?

Jolanda è la figlia del Corsaro Nero e la moglie del pirata Henry Morgan.

In questa storia qualcuno è esistito, qualcuno no, quindi mettiamo in ordine le cose.

Il Corsaro Nero e Jolanda sono due personaggi immaginari, mentre Henry Morgan è esistito veramente ed è vissuto tra l’Inghilterra e i Caraibi, cercando di conquistare Hispaniola, saccheggiare quanto più poteva, fino ad arrivare a Panama ed espugnarla per prendere anche lì quanto possibile. La conquista di Panama avvenne il 18 gennaio 1670 e questa foga di accaparrarsi tutto quello che c’era aveva due giustificazioni. La prima, il saccheggio andava di moda: gli Spagnoli e i Portoghesi saccheggiavano a più non posso da quasi due secoli; Inglesi e Francesi erano arrivati con qualche ritardo nel Nuovo Mondo, ma anche loro si davano da fare; gli Olandesi arrivarono a fondare e a vendere agli inglesi addirittura New York (all’inizio New Amsterdam), che suona un po’ come Totò che vende la fontana di Trevi. La seconda giustificazione dei saccheggi erano i debiti. I pirati avevano un sacco di debiti: partire con una nave funzionante, mantenere un equipaggio pieno di omaccioni affamati aveva dei costi altissimi; quindi, si partiva con tante buone speranze, si accumulavano debiti con i costruttori e si cercava di saldarli alla bell’e meglio. Siamo in tempi in cui vendevano pepe e spezie o qualche cosa di esotico come la canna da zucchero, diciamo pure che i pirati in questo contesto erano persone concrete, quindi, erano più attratti da oro e argento, perché evidentemente non avevano ancora scoperto il potenziale del narcotraffico. In questo intricato Nuovo Mondo, dove si mischiano finti indiani, indios, indigeni della giungla, cannibali quanto basta, predoni e governatori europei, Salgari, veronese, mette in campo i suoi personaggi: il Corsaro Nero e la figlia Jolanda. Per amor di storia coinvolge il buon Henry Morgan, lo fa luogotenente del Corsaro Nero, gli mette in bocca un eloquio forbito con cui si rivolge tramite un casto VOI a Jolanda e naturalmente dopo un naufragio fa sposare i due, fornendo quindi il pretesto per la nascita di un’evoluzione straordinaria della donna piratessa. Ma la sua Jolanda, che supponiamo sia stata concepita in dialetto veronese, ma stampata in italiano ottocentesco, non era certo la piratessa che immaginiamo oggi. Innanzitutto, era una sorta di team coach, una che arrivava, bella come il sole ma rigorosamente vestita di nero (in quanto figlia del Corsaro Nero), si presentava sul ponte della nave “Folgore” e diceva ai filibustieri presenti cosa avrebbero dovuto fare per depredare l’ennesimo porto, nonostante l’artiglieria degli spagnoli. E quelli lo facevano! Le ubbidivano perché affascinati dal quel timbro perentorio che tanto ricordava il Corsaro Nero. Ma lei non si sporcava le mani, al massimo notava che una palla di cannone finiva a poco da lei e commentava con il suo Morgan “accipicchia, ci vogliono forse impressionare”. In secondo luogo, Jolanda – come tutte le jolande – era una crocerossina. Succede, infatti, che la bella Jolanda naufraghi in Venezuela, in mezzo a fantastici animali colorati, ohibò un giaguaro e certamente moltissimi cannibali, gli antropofagi dalla lunga barba che prendono a frecciate Morgan. Lì Jolanda riuscirà ad ammazzare qualcuno, ma sempre con una certa eleganza e sempre al primo colpo, senza far soffrire troppo il nemico. Inoltre, non colpiva degli uomini d’onore, colpiva dei terribili bestioni che si pappavano civili pirati inglesi. Il super potere di Jolanda – come tutte le jolande – è quello di consolare uomini virili anche nei momenti in cui riscontrano qualche problema con la loro mascolinità. Capita che Morgan, infatti, venga ferito e rischi di morire, ma faccia finta di nulla per dimostrare di essere un Rambo ante litteram in un Vietnam sudamericano. La povera Jolanda lo aiuta in modo che neanche si renda conto che lo aiuta, che qualche merito è suo, perché il buon esito di un’avventura rimane sempre appannaggio del maschio alfa… Un pirata, poi! Ebbene Jolanda, come tutte le jolande, sa tirarsi indietro, lavorare sodo e non raggiungere mai l’orgasmo della vittoria. Insomma, l’onorata e venerata Jolanda, alla fine della fiera, sicura di essere in salvo dal momento che Morgan contribuirà alla morte del nemico (una sorta di Don Rodrigo di Panama), sarà felice di sposare il suo pirata.

Ora, che direbbe Jolanda di una serie di piratesse che l’hanno succeduta? E che direbbe Jolanda se sapesse che uno dei costumi più cercati e venduti su Amazon (che neanche farlo apposta ha il sapore sudamericano del Rio delle Amazzoni) è proprio il costume da piratessa? Ma che direbbe Jolanda se scoprisse che il suo elegante abito nero si è evoluto in uno scollacciato vestito da piratessa steampunk che mal copre le pudenda di graziose fanciulle dei giorni nostri?

A questo punto la vestizione è terminata e la narratrice, ormai Jolanda, guarda il pubblico soddisfatta. Il tono di voce sarà imperioso ma al tempo stesso molto femminile.

Come chi sono? Chi siete voi piuttosto! Ditemi un po’, pensateci a d’uopo, chi sono io? (qualcuno, timidamente risponderà) Jolanda, ma non una Jolanda a caso, Jolanda di Ventimiglia, la figlia del Corsaro Nero. Orbene, sono qui nonostante pensassi di essere da tutt’altra parte, sia mai che io mi senta a mio agio fuor dal ponte d’una nave diretta a Maracaibo… (canticchia) Andare sì ma dove… za-zan. Ma dove, dove vorreste essere se non nella giungla? Ohibò che bestie incontrai! Fiere dantesche spuntavano da piante intricate e Henry… Caro Henry… Henry, il pirata Morgan, intendo… Che stava così male, che voi uomini potete capire… No? (sguardo ironico al pubblico femminile)… Insomma, mi dovetti difendere da sola! Ebbene, anche in quel contesto però mantenni tutta la mia piratesca dignità di donna, figlia d’arte e futura moglie corsara. Cosa che non mi riuscì altrettanto bene quando mi trovai nel vostro mondo – infatti, di quando in quando qualche lettore delle mie storie mi trascina fin qui e io ne approfitto per una visita della modernità! Ebbene fui invitata a una festa, o meglio, mi ci trovai appunto perché il mio lettore doveva essere uno di quelli che legge giusto per trovare ispirazione. Ero a una festa in maschera! Ora immaginate la mia sorpresa quando incontrai una ragazzetta con qualcosa di troppo alla vista del pubblico che pretendeva di fare il mio mestiere… (sguardo al pubblico) la piratessa, intendo! Cerco di imitare il volgare eloquio con cui la sciagurata si rivolse a me: “Ma che figata di costume hai, fra? Cosa sei, una specie di monaca antica?”. Allorché la pregai di rivolgersi a me come a una signora e quella: “Fra, calmati!” (Sguardo minaccioso di Jolanda) Fra? Cos’avrà voluto dire? Rincarò la dose, per giunta! “Signora fra’, che bel vestito! Preso su Amazon?”. Alludeva all’abito nero che indosso, con tanto di piuma infissa nei capelli e spada con cui esortai i pirati sul ponte della Folgore… (scimmiottando la ragazza) “La spada, signora fra’, lei fa sul serio!” A me diceva! A me che ho combattuto contro uomini d’ogni sorta, antropofagi compresi! E rispose: “Bello, c’è un tipo qui un po’ antrofobico che mette musica stra-creepy”. Chiesi se non l’avesse ancora ucciso, perbacco! E lei: “Calma, signora fra’, lei sembra un po’ stoned”. Stoned! Allora mi sentii di replicare: “Sentite fanciulla, il vostro abito, invece, rappresenta la tribù indios a cui appartenete?” – E lei: “Sono una piratessa steampunk!”. (Sguardo interrogativo di Jolanda) Ho pensato di dover chiedere un appuntamento a questo Mr Steampunk e fargli un discorso intorno ai costumi che aveva introdotto… Se io andassi in quei panni tra i filibustieri, sarei apostrofata a guisa di una maitresse e non oserei più far conoscere il mio nome! “E come si chiama?” e io le risposi: “Jolanda, Jolanda da Ventimiglia”. (Una breve pausa) E rise… Quella piccoletta rise. Quindi io qui sono tornata e vi chiedo: non sarò mica l’unica Jolanda al mondo che quella rise così forte? E voi, signore a cui ho raccontato questa storia, volete sapere come si è concluso il confronto con Mrs Steampunk? La piccola mi guardò, sorrise e disse: “Mitica Jolanda, sei una di noi”.  Quindi, grazie a tutte le jolande che mi hanno ascoltato e un bacio ai pirati presenti in sala!

L’asinello supersonico di Santa Lucia

Era il viaggio di Santa Lucia numero settecento o giù di lì – l’asinello lo sapeva. La storia della sua passeggera più misteriosa, infatti, era iniziata nel tredicesimo secolo, durante un freddo inverno veronese, in cui tanti bambini erano malati e non avevano possibilità di guarire in un comodo ospedale.

L’asinello ricordava tutto di quella prima notte: i bambini insieme ai loro genitori erano andati fino alla chiesa dedicata a Santa Lucia per chiederle di stare meglio, così lei non solo li guarì, ma per quella corsa notturna a piedi scalzi – a quel tempo, infatti, raramente i bambini indossavano le scarpe – donò ai bambini ogni tipo di leccornie che tutti trovarono la mattina seguente.

Quella volta di settecento anni fa, l’asinello era stato chiamato dal signor Castaldo in piena notte, mentre dormiva dritto sulle zampe come si usa tra gli zoccolati più nerboruti e cercava di scaldarsi a contatto con la paglia al riparo nella stalla. Che voleva il signor Castaldo a quell’ora? Presto detto, era stato interpellato proprio da Lucia, la Lucia più famosa di tutte, la santa bianca come la luce che rischiara l’alba successiva alla notte più lunga dell’anno.

In quel momento, dopo più di settecento viaggi, l’asinello ancora provava un brivido quando vedeva Santa Lucia; ma quella prima notte fu così carica di emozioni che per poco il cuore non gli era esploso: era l’asinello prescelto e insieme al signor Castaldo sarebbe diventato famoso. L’asinello sorrise anche quella volta al ricordo che gli teneva compagnia, ma ammise di essere preoccupato.

Il signor Castaldo, come tutti gli anni, stava preparando il tabarro e il cappello per resistere al freddo, ma anche per non farsi riconoscere: la prima regola di tutti vip è il sacrosanto diritto di nascondere la propria identità ogni volta che si vuole far qualcosa bene e velocemente. Chi ha un’idea di quanti bambini devono ricevere i regali da Santa Lucia in una notte sola? Se il Castaldo non fosse veloce, se venisse fermato per partecipare a selfie e stories con dedica, sarebbe un vero disastro e tantissimi regali non arriverebbero a destinazione prima dell’alba!

In tutte le notti del 12 dicembre, l’unico a viaggiare a viso scoperto è proprio l’asinello perché gli esseri umani – si sa – non hanno buona memoria per la fisionomia degli animali, figuriamoci per gli asinelli che a Verona piacciono così tanto… Lasciamo stare questo lato della tradizione – l’asinello tentava di scacciare il pensiero sempre più lontano. Lui aveva un ruolo, era l’asinello di Santa Lucia, non uno qualunque per intenderci, inoltre non era un musso… Siete d’accordo? Perché si sa che a Verona, polenta e musso…

Quella notte l’asinello non era tranquillo perché il signor Castaldo non si stava preoccupando come tutti gli altri anni. Di solito era tutto un fremere, un prepararsi per quella sera fredda, un andare e venire tra la stalla e la sua casa in via della luce numero dodici nel paese di Lucia Santòpoli. “I bambini” – ripeteva sempre – “sono tantissimi, sono migliaia e vogliono tanti regali, bisogna correre, correre, asinello mio!” – e poi – “Ho sentito Lucia stamattina, ne ha ricevute altre cento, capisci? Altre cento letterine ritardatarie!” E così via fino alla mattina del dodici dicembre. In quei giorni sembrava incredibile che rimanessero ancora desideri per Babbo Natale, da tanti ne avevano i bambini che si rivolgevano a Santa Lucia. Una volta, ricordava l’asinello, un bambino che aveva ricevuto dalla mamma l’indicazione di attenersi al numero di due piccoli regali a testa, aveva contato tra le “teste” anche quelle dei suoi supereroi preferiti che collezionava in un bauletto e siccome ce n’era qualcuno che aveva persino il dono della reduplicazione, alla fine a forza di elencare due regali per ciascuno, ne aveva raggiunti almeno ventitré! Vi chiederete come mai un numero dispari… Questo perché uno di quei supereroi di plastica aveva perduto una parte dell’armatura e valeva mezzo eroe, quindi un solo regalo. Il signor Castaldo diceva che con i bambini non si sapeva mai e l’unico modo per renderli felici tutti allo stesso momento era organizzarsi in tempo, prevedendo tante eventualità bislacche.

Ma quella volta… Niente! Nessun movimento ansioso, nessuna fretta di prepararsi; solamente a un certo punto l’arrivo di una lettera raccomandata scritta da qualcuno che doveva essere adulto, visto che l’invio di una raccomandata di questi tempi prevende una certa dimestichezza e tanta pazienza in un adultissimo ufficio postale. “Un adulto, quindi…” – pensava l’asinello – “un adulto che si prende la briga di mandare una raccomandata per essere sicuro che qualcosa arrivi nelle mani del signor Castaldo e di colpo quello… Niente, basta, non si preoccupa più!”. Poteva essere una pillola per lo stress, un intruglio rilassante di qualche genere… Ma chi si prenderebbe la briga di alleviare le pene di uno che fa il castaldo da sette secoli? Sì e no pensano a lasciare un bicchiere di vino sul davanzale, ignorando il fatto che il signor Castaldo in servizio è severamente astemio! Cosa poteva essere, insomma? L’asinello un’idea cominciava ad averla.

C’entrava qualcosa con lui, ne era certo. La sua indole, la famosa testardaggine unita alla stupidità proverbiale non gli facevano una buona pubblicità. Se c’era un anello debole nella catena delle consegne di Santa Lucia, quello era proprio lui: l’asinello da tirare, da spingere, da convincere ad andare avanti mentre perde minuti e minuti di tempo prezioso ragliando. Accidenti a quelle dicerie, perché tali erano, sia chiaro. Lui era sempre stato l’opposto dell’asinello che più di qualcuno chiama “somaro” con disprezzo; lui teneva al proprio lavoro, alla propria investitura, al proprio ruolo. Considerava di aver raggiunto il massimo della carriera somara, al pari delle renne di Babbo Natale o della scopa della Befana. E chi si era mai lamentato di quelle? Pensate che Amazon Prime si impegna a consegnare gli ordini per tutti i giorni dell’anno il giorno successivo al click, mentre le famosissime renne (che sono almeno tre coppie, è da sottolineare) impiegano sì e no otto ore a fare il giro del mondo in modo ecosostenibile, ma solo una volta all’anno! E durante la pandemia? Qualcuno le ha viste? Si vocifera che siano stati assoldati i corrieri Ups per sopperire a Babbo Natale che, anziano, non voleva certo muoversi da casa. Eppure nessuno ha mai avuto da ridire delle renne! Il povero asinello, invece, svolgeva tutto il lavoro da solo e si doveva sorbire i peggiori luoghi comuni, per giunta sempre con la minaccia di finire accanto alla polenta…

Quella raccomandata – lo sapeva – lo sostituiva. Era sicuramente l’invito di qualche azienda nei confronti del signor Castaldo, per farlo diventare – per dire – il testimonial di un monopattino volante con i razzi ultrasonici. Addio asinello, addio per sempre, cara bestia da traino che non sei stata altro. Non uno sguardo di dolcezza nei tuoi confronti, quando ti sostituiremo con un mega jet modello biciclo con carrellino per i regali e ti indicheremo la via più breve per la sagra del musso.

L’asinello era affranto. Mai, in settecento anni, aveva dubitato del suo prezioso contributo nel rendere felici i bambini e mai in settecento anni si era sentito così mortificato. Ormai non ragliava nemmeno più, ormai aveva cominciano a desiderare di dormire coricato.

…Dov’eravamo rimasti? Ah, certo, l’asinello era giù di morale e non sapeva cosa contenesse la raccomandata.

Il signor Castaldo, dal canto suo, vedeva l’asinello depresso e non se ne spiegava il motivo. Pensava di fargli fare meno fatica quella volta e pensava che questo lo rendesse più allegro. Santa Lucia, infatti, sapeva che anche l’asinello quell’anno aveva mandato una letterina con un solo grande desiderio: voleva un po’ di velocità in più, se poteva averne, per arrivare a fare felici tanti più bambini, anche quelli così ritardatari che avevano perso le speranze di ricevere qualcosa il dodici dicembre e ripiegavano sul più famoso ventiquattro. Solo così sarebbe stato appagato, la sua felicità, infatti, dipendeva esclusivamente da quella dei bambini ormai da settecento anni.

Santa Lucia, perciò, aveva contattato un’azienda che costruiva i razzi per visitare la Luna e stava escogitando di mandarci in gita dei vecchi milionari. Cosa c’era di meglio, per questa azienda, di farsi conoscere rendendo più veloce l’asinello-corriere più famoso del mondo? L’azienda non solo avrebbe dovuto donare i razzi supersonici all’asinello, ma avrebbe dovuto anche promettere di fare qualche milione di regali ai bambini poveri di tutto il mondo: un milione per ogni milione speso dai ricconi turisti dei crateri lunari.

L’azienda di nome CiEloMusk, concorrente asiatica della Tesla, mandò una raccomandata al signor Castaldo per essere proprio certa che il giorno dieci dicembre sarebbe andato a ritirare quell’arnese supersonico dotato dei migliori razzi lunari, per rendere l’asinello più veloce senza sforzi per la notte più corta dell’anno.

L’asinello si stava lasciando andare, a forza di pensare che tutti aspettassero solo di avere le sue dimissioni, viveva il suo preavviso di licenziamento con lo stato d’animo di uno che aveva lavorato nella stessa azienda per settecento anni e non aveva ricevuto nemmeno una promozione.

Ma ormai era la vigilia del dodici dicembre e qualcosa si stava muovendo, perché il signor Castaldo cominciò a caricare nel carro (quell’anno più grande del solito) i pacchetti ritirati dai vari negozi: “Mai sempre lo stesso negozio” – ripeteva sempre, orgoglioso del suo metodo – “per non attirare l’attenzione”. Il signor Castaldo era furbo, ma non abbastanza da nascondere qualcosa all’asinello, che appena vide le dimensioni del carro, capì subito di non essere all’altezza del compito e gettò la spugna; ragliò tutto il suo dolore e si coricò sulla paglia come un morto non ancora stecchito. “Che la polenta mi sia di conforto” – pensò – e chiuse gli occhi.

“Asinello?” – tintinnò una voce luminosa – “Asinello mio!”. L’asinello mosse solo le orecchie, ma quel che bastava per dare a intendere di non essere affatto morto, anzi, di accogliere quelle parole con una certa impazienza. A parlare era stata proprio Santa Lucia, che non si palesava se non nei momenti più importanti e lo faceva solo con la volontà di aiutare chi le avesse rivolto una preghiera. L’asinello riconobbe la voce, poi, ancora coricato con gli occhi ben chiusi, ricordò di avere espresso un desiderio a Santa Lucia e capì che la sua preghiera era giunta a destinazione: nei pensieri della santa c’era posto anche per un asinello come lui e ne era così felice che… Balzò sulle quattro zampe in due mosse repentine e stette lì a sgranare gli occhi su quella meraviglia bianchissima e luminosa che aveva davanti.

Anche se i lineamenti del viso sotto il velo si distinguevano appena, Santa Lucia sorrise e l’asinello lo vide. In quel momento capì di essere stato uno sciocco di dubitare di lei e del brav’uomo del signor Castaldo, così, pieno di gioia, si mise lì ad aspettare il finale migliore: il suo desiderio esaudito.

Tuttavia, non aveva idea della concretezza del suo regalo, quando aveva espresso il desiderio della velocità si era aspettato un aumento dell’energia dei suoi muscoli, l’aiuto del vento magari, ma niente di più. Quando si trovò davanti a due razzi lunari supersonici, metallizzati e così lucidi da riflettere tutto lo splendore che gli stava intorno, volle subito provarli. L’arnese che gli aveva preparato la CiEloMusk era lì che aspettava di essere cavalcato. “Per una volta” – pensò l’asinello – “sarò io ad essere in groppa a un nerboruto e supersonico aggeggio da soma!”

Così, quella notte l’asinello con i razzi supersonici provvide a trasportare sia il signor Castaldo che Santa Lucia con tanto di carrettino dei regali e riuscì a raggiungere decine e decine e centinaia di bambini. “Forse migliaia e milioni!” – continuava a ragliare felice l’asinello – “Migliaia e milioni di sorrisi che mi renderanno l’asinello più fortunato della storia”.

68 Jukebox

Lo spettacolo, attraverso musica e teatro, racconta il Sessantotto e l’atmosfera musicale e letteraria di quel periodo unico.

Grazie ad alcune canzoni rappresentative, si portano in scena alcune delle tematiche che più caratterizzano il Sessantotto in Italia: le lotte per i diritti civili, il pacifismo e l’antimilitarismo, la rivolta studentesca, le rivendicazioni sindacali.

Non mancano fatti di cronaca del tempo in un’analisi critica al Sessantotto espressa, a posteriori, in epoche successive.

Locandina Jukebox 68
Locandina Jukebox 68

La musica è protagonista grazie anche al racconto della canzone stessa, soprattutto quella legata ai grandi cantautori. Musica che, in quel periodo, prende coscienza di sé e si evolve.

C’è Edipo? _ corso di drammaturgia della commedia

fungo

Domani inizia il mio corso di drammaturgia della commedia: un modo divertente per avvicinarsi al mondo del teatro raccomandato a commedianti principianti, inesperti o distratti.

Lo scopo è quello di formare un piccolo gruppo di varia umanità che sappia leggere, ridere e far ridere. Sarà importante il coinvolgimento emotivo e la predisposizione ad accettarsi senza troppa serietà.

Il testo che accompagnerà i nostri sforzi sarà Le tragedie in due battute, di Achille Campanile. Leggendo brevi sketch di comicità surreale, percorreremo alcune tappe di storia del teatro, per capire testi e sottotesti. Approfondiremo come si scrive per far ridere il pubblico con esempi pratici, giungendo all’abbandono della comoda seduta per più scomode declamazioni.

Durante la prima lezione vi saranno forniti i mezzi irriverenti necessari per ridere della tragedia greca.

“C’è Edipo?” (da Tragedie in due battute, Achille Campanile, 1925)

Quando e dove: Garda (VR), piazza Donatori di Sangue, palazzina polifunzionale, tutti i martedì dal 31/1 al 21/3, dalle 19 alle 21.

Sulle orme del poeta

È pronta la caccia al tesoro Sulle orme del poeta, di Margherita Monga. Prendendo spunto dal poemetto Lago di Garda di Cesare Betteloni, è nata una caccia al tesoro noir, alla ricerca dei messaggi nascosti del poeta. Sulla sfondo struggente di un paesino sulle rive del lago, si muove una storia di intrighi in atmosfera risorgimentale.

Ottima attività per team building, prodotta da Faberest.

copertina caccia intera

Promuoversi con la scrittura creativa

La scrittura creativa come esercizio di comunicazione di sé – proposta dei corsi di Margherita Monga, nasce dalla sua passione per lo storytelling aziendale.

Il prossimo 18 febbraio a Bardolino (Verona), la docente presenterà il corso Scrittura creativa per la promozione di piccole aziende – seconda edizione di un corso tenuto nel 2015 a Verona FabLab.

Durante il corso, la docente proporrà esercizi di scrittura per creare testi che parlino della propria realtà aziendale, su locandine e web.

L’obiettivo della docente è quello di rendere autonomi i corsisti nella scrittura di brevi contenuti che siano interessanti per un pubblico di potenziali clienti.

corsi bardolino

 

Cene esperienziali

Le Cene esperienziali sono un progetto di Giulia Cailotto e Margherita Monga. Attrice e autrice decidono di fare del teatro un’esperienza che passa anche dal cibo. L’attrice è una commensale un po’ particolare, di volta in volta strega, sessuologa, cantastorie. Il suo obiettivo è quello di coinvolgere il pubblico, facendolo diventare parte della messinscena. Le cene esperienziali andate in “scena” nel 2015 sono state Cena con la stria I racconti del cuscino, all’Opificio dei Sensi, San Martino Buon Albergo, Verona.

Cena con la stria

Sapete cos’è un’anguana? L’anguana è la strega che inventò il formaggio. Durante la cena si presenta, legge i racconti della tradizione delle anguane e cerca di risolvere il suo amore infelice. Al termine delle letture, il pubblico è chiamato a dare la sua versione della storia delle anguane, in divertenti esercizi di scrittura creativa. La cena proposta è preceduta da un laboratorio di cucina sul formaggio.

I racconti del cuscino

Una cena dal menù afrodisiaco accompagnata dai racconti di una divertente sessuologa. La sessuologa legge brani di celebre letteratura erotica, che fanno da supporto all’ironica storia della sua carriera. Al termine della cena, il pubblico è chiamato a creare il proprio racconto erotico, mettendo su carta fantasie da best-seller. Il divertimento è assicurato.

Per un articolo interessante sulla Cena con la stria, clicca qui.

Hugo – burla veronese

Hugo – burla veronese è una commedia noir che ha meritato la menzione della giuria del Premio Hystrio 2014 e il secondo posto del Premio Oltreparola 2014. Mai rappresentata, attende fiduciosa.

Sinossi:

Venerdì 23 dicembre, nella sfarzosa cornice veronese di un salone delle feste, Lei annuncia agli amici di volersi uccidere. Il ricco proprietario di casa e organizzatore della prossima cena di Natale si oppone a questa decisione immotivata, ma rivela la necessità dell’eliminazione di un componente del gruppo: non c’è posto per tutti al ristorante. L’assicuratore propone di stipulare polizze sulla vita e pianifica l’istigazione al suicidio del suo rivale in amore. Ma il weekend trascorre senza che nessuno dei personaggi raggiunga il proprio obiettivo. Una dopo l’altra, giungono le notizie della sconfitta dell’Hellas e della cessione inderogabile del salone delle feste per debiti di famiglia. La fine dei giochi rituali e l’inizio della depressione del ricco porteranno a inevitabili conseguenze: l’eliminazione della protagonista della caduta, Lei che ha rotto per sempre l’armonia del gruppo.

Motivazioni del Premio Hystrio 2014:

Hugo-Burla veronese: puntuale e spietato ritratto, in forma di elegante commedia salottiera, dell’esausta giovane borghesia del Nord-Est, tutta calcio, alcol, sesso e consumismo, dove il cupio dissolvi che rende la vita uguale alla morte è universalizzato dal ricorso a inserti shakespeariani.

Per altre informazioni clicca qui.

Il figlio soffre in citazioni pop

Il figlio soffre in citazioni pop è un insieme di sketch surreali. Lui e Lei sono due altolocati “appollaiati” al piano superiore. Lui e Lei tentano di vivere parlando di niente. Purtroppo mettono al mondo un Figlio che si interessa delle sofferenze dell’esistenza.
Lui e Lei decidono di uccidere il Figlio, in quanto antipatico perturbatore della loro vuota tranquillità.

Figlio: Io soffro.

Lui: Tutta questa sofferenza mi annoia. Non trovi anche tu?

Lei: Certo, per tutti la noia è sofferenza, solo noi ammettiamo che la sofferenza annoia.

In scena con la Compagnia Eunemesi dal 2015, a Milano (IT Festival, Arci Ohibò).

il figlio soffre in citazioni pop  spettacolo teatrale

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